Voglio scrivere queste due righe che si annovereranno tra “Discorsi misti”, di non ben definita collocazione. Pensavo: Bello il progetto “Racconto della quarantena”, ma è un racconto immaginario che si evolverà a modo suo come un romanzo distopico.
Adesso, però, vorrei ritagliare uno spazietto di realtà e condividere con voi il mio pensiero.
La mia paura più grande da quando ho memoria e parlo di fobie reali perché il “Babau” lo annovero tra le paure infantili; è sempre stata la guerra. Quel 11 Settembre non avevo capito cosa stesse succedendo ero tra le 12enni degli anni 2000 nate tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90 che a 12 anni non sono ragazzine e/o donne, come adesso; cambiano i tempi, la tecnologia, la modernità, la società, l’educazione e si cresce prima. Ero ancora un’acerba 12enne che aveva iniziato a fare le prime uscite pomeridiane con le amiche per andare in oratorio e per il resto passava il tempo a guardare i cartoni. Avevo la TV accesa su Italia uno, non ricordo che cartoni animati dessero ai tempi, attendevo “Bim bum bam” e invece edizione straordinaria di Studio aperto, fumo e torri. Pensavo: “Ma che palle oggi non trasmettono regolarmente?”, ricordo che ero particolarmente irritata, non avevo seguito, capito cosa succedeva perché la TV era senza volume non ricordo se prima di Bim bum bam dessero repliche di qualche telefilm che non mi interessava o il programma “Non era la rai” redesign del famoso cult fatto di spezzoni e interviste. Stavo leggendo WITCH un fumetto che andava tantissimo tra le teen, parlava di queste ragazze che scoprono di avere dei poteri magici legati ad uno dei 4 elementi (la sto buttando sul semplice), un po’ leggevo e un po’, va bene lo ammetto! Stavo colorando! Mi ero messa nei giorni prima alla finestra a tracopiare i disegni dell’adorato fumetto per poi colorarli. Non ricordo se fosse o meno già iniziata la scuola, credo di no, dovevo iniziare la seconda media. Non ricordo a che ora, forse le 17, mi vedevo con la mia amica Chiara all’oratorio, merenda, passeggiata e chiacchiere (molte delle quali incentrate sul fumetto e come secondo noi si sarebbe evoluto). Le nostre case erano separate da un semaforo di un grande incrocio, ed era il punto di incontro per poi andare all’oratorio. Appena mi vide esclamò: “Ma hai visto quello che è successo?!” e io irritata: “Ho visto che non hanno dato i cartoni!!!”, alchè iniziò a raccontarmi gli eventi appena successi. Lì per lì non ci diedi molto peso e anzi, dopo il suo minuzioso racconto persino a Chiara si spente la scintilla della novità e tornammo alle nostre solite pratiche. Nei giorni successivi però si parlava tanto di guerra, mio papà era stato richiamato per la guerra del Golfo visto che aveva, in gioventù, avuto una carriera militare e nonostante fosse in pensione da parecchi anni e non più giovane avevo persino ansia che o lui o mio fratello, che aveva fatto semplicemente il militare obbligatorio, potessero essere richiamati. Da lì iniziai ad aver davvero paura della guerra! Mi dicevo: “Se c’è una guerra può succedere di tutto, possono morire i tuoi cari, la tua famiglia, gli amici… E poi… Come vado avanti? E magari non puoi nemmeno dar loro un ultimo saluto, fare un funerale, terribile!”, tremavo all’idea.
Gli anni sono poi passati e guerre ne ho “viste” da lontano, sulla pelle degli altri riportate dai mass media. Sono poi successe tante cose… A 20 ho perso mio papà per un tumore fulminante, tre mesi bruttissimi, poco prima che morisse la diagnosi di sclerosi multipla e il giorno dopo, ma proprio il giorno dopo la sua morte avevo uno degli esami più importanti per confermare la diagnosi. Con poche ore di sonno addosso e il mio consueto color lavandino mi presentai alla visita, ricordo che l’infermiera mi chiese se fossi spaventata, risposi che poche ore prima era mancato mio papà, abbastanza sconvolta mi disse: “Se vuoi rimandiamo”, io le dissi di non preoccuparsi e feci l’esame. Qualche ora dopo eravamo da “Giubileo”, vista la vicinanza con le Molinette, io mia mamma e mio fratello; alla scelta della bara quando il tizio ci portò in quella stanza piena di bare mi sentii male. Tornata a casa, però, ricordo una cosa tenera: scrissi alla mia allora ragazza, ora moglie, “Puzzo, faccio schifo e vorrei solo buttarmi in un letto, non mi faresti nemmeno le coccole da come sono combinata” e lei rispose: “Ti farei le coccole anche se fossi vestita con un sacchetto dell’immondizia!”, io sono l’antitesi del tenero e del romantico, lei lo era diciamo abbastanza, negli anni a forza di star con me si è un po’ rassegnata, ma lo trovai tenero.
I mesi successivi la ricerca di una terapia, gli effetti collaterali delle terapie, la malattia che galoppava, i sintomi della malattia. Non pensai molto alle guerre e la paura di perdere qualcuno si era avverata e nonostante fosse ed è un pugno allo stomaco ed una cicatrice indelebile sulla pelle, si va avanti.
Passano gli anni, i libri pubblicati, il lavoro come maestra, il matrimonio, la brutta ricaduta della malattia che mi tiene in panchina per un paio di anni… Alla TV si continua a sentire di guerre, di stragi, di attentati, sempre sulla pelle degli altri.
Poi si ammala mia mamma gravemente, io avevo 29 anni, la malattia è la stessa, subdola e spietata che si era già portata via papi. Lotta per almeno 6 mesi, negli ultimi diventa molto pesante perché non è più lucida. Siamo io, mia moglie, mio fratello, mia cognata, mia sorella non di sangue e la sua bimba; tutti stretti in un forte dolore e tutti che ormai reagiamo e ci interfacciamo in modo diverso. Siamo nervosi, si litiga e si fa pace. Un periodo da cestinare. Nel mentre non posso continuare la terapia che mi stava finalmente facendo stare bene e l’alternativa è una tosta di terza linea (i malati di sclerosi rabbrividiscono al sentire nominare il cosiddetto terzo livello, significa che sei oltre, che lei corre e un quarto livello di cure attualmente, mentre scrivo questo pezzo, non esiste), ma non ho testa e tempo, dobbiamo pensare a mamma. Lei ci abbandona ad Agosto, al funerale pure poche persone tutto sommato (molti ormai in ferie e a detta loro “Impossibilitati a muoversi, ma tante condoglianze”), molti dei suoi amici sono assenti, lei che si è sempre fatta non in 4 in mille per tutti e loro che non hanno potuto trovare il modo di rientrare dalle ferie, chi con motivazioni più o meno giustificate (non voglio far polemica)…
E poi passa l’anno e inizio a lavorare in un posto nuovo, nelle scuole non riesco, non tengo il passo con i piccoletti e faccio la nuova terapia e sembra di vedere un po’ di luce; non scrivo, non ho molta ispirazione, i progetti di nuovi romanzi abbandonati in una cartella del PC e nelle note dell’Iphone, ma sto bene, si va avanti si respira.
Resta mio fratello, la piccolina che quando parla di “nonna Mela” dice: “È andata in cielo!”, ma in effetti non so bene se ha capito, sa solo che non potrà vederla più e ogni tanto ci chiede conferma: “Ma proprio mai più?” e io e la sua mamma a stento tratteniamo le lacrime! Resta anche lei la mia amica/sorella e mia moglie, siamo rimasti solo noi, ci sosteniamo a vicenda.
Poi arriva un virus che ci obbliga a non vederci e noi rispettiamo le regole: non ci vediamo, io poi che data la terapia sono immuno depressa non esco tranne che per le infusioni in ospedale. Ci facciamo le video chiamate, organizziamo Pasqua su FaceTime, evviva la tecnologia in questo caso e il gruppo “Family” su whatsapp bippa tutto il giorno. Arriva un virus e inizialmente non ti rendi conto, passi le giornate a casa, Netflix, Sky, Amazon Prime, ora anche la piattaforma Disney, libri, smart working, cucinare, mangiare e poi io posso godermi mia moglie di più cosa che nel tran tran del lavoro e del quotidiano magari non fai. Ma arriva questo virus e inizi a leggere notizie di storie strazianti, poi le storie accadono a persone vicine o amiche di tuoi conoscenti…
Ed ecco che la sensazione di: “Che palle perché danno Studio aperto al posto dei cartoni!”, diventa: “Ho paura di una guerra!” e anche se ti senti forte perché hai già perso tanto, hai combattuto battaglie importanti per aver solo 30 anni, il mantra resta: “Non voglio perdere di più, non voglio finire in ospedale da sola!”, che poi probabilmente mi negherebbero anche la terapia intensiva in assenza di posti, ovvio non sono una paziente prioritaria, sono già “compromessa” e poi aggiungi nei tuoi pensieri: “Non voglio che stiano male i miei affetti e gli amici!”; aggrappata con le unghie e con i denti a quelli che restano.
E quindi quella paura, che ormai pensavi lontana, perché tanto le guerre le hai viste, ma sulla pelle degli altri, diventa reale e vivida; graffia e fa male.